Alle ore 21.00 presentazione e introduzione di Domenico di Benedetto, e a seguire proiezione di ben due pellicole, Django (1966) di Sergio Corbucci e Sukiyaki Western Django (2007) di Takashi Miike.
Django (1966)
In un paese ai confini del Messico dove imperversano due bande capeggiate rispettivamente dal maggiore americano Jack Winchester e dal generale messicano Hugo Rodriguez, arriva un pistolero, Django, accompagnato da Norma, la sua amante. Nel saloon del villaggio, dove si riuniscono a turno le due bande rivali, Django che è stato guidato fin lì dalla sete di vendetta contro Winchester, riesce a uccidere quasi tutti gli uomini del maggiore con una mitragliatrice nascosta in una bara...
Sukiyaki Western Django (2007)
Ormai da almeno un paio di decenni ha messo radici tra una folta schiera di appassionati di cinema (ma non solo) una risibile e presuntuosa moda che, con le classiche connotazioni del fanatismo nostalgico di memoria adolescenziale, urla una rivalutazione ortodossa di certo cinema italiano anni 70, senza possibilità di appello per le controparti. Sociologicamente comprensibile nell’ottica dei ricorsi storici e delle fughe psico-regressive delle masse, tale tendenza palesa le sue origini tutt’altro che cinefile proprio in un estremismo che, al contrario di quanto vorrebbero i sostenitori, nasconde le qualità di quel cinema proprio affogandole in un unico calderone di peculiarità tutte allo stesso modo osannate, nella forma di una nuova religione. Diventano così oggetto di culto prodotti prevalentemente mediocri, se non pessimi, appartenenti alla commedia pecoreccia, all’horror trash e allo spaghetti-western italiani, mettendo scarsa distanza di valutazione tra veri artigiani del genere e beceri operai dello Z-movie. Tale fanatismo, al di fuori del recinto dello spettatore, ha intaccato, naturalmente, anche registi di una certa fascia d’età, taluni talentuosi, che, confessando apertamente il loro amore per un cinema che ha cullato le personali fantasie giovanili, cercano di riproporne stilemi firmandoli con un’autorevolezza più o meno marcata. Sono ormai ben noti, ad esempio, gli encomi, anche solo per “attrici” italiane dell’epoca (Barbara Bouchet), del buon Quentin Tarantino, ma non mancano rievocazioni dell’amicoRobert Rodriguez, fino ad arrivare alle celebrazioni di registi più insospettabili come Takashi Miike, dedito all’horror estremo orientale e a variazioni insolite, come il recente Yattaman.
Ingresso libero riservato ai soci ARCI.