Sono passati 1424 giorni dal 6 aprile 2009 e nulla sarà come prima. La città non c’è e non solo perché non è ancora partita la ricostruzione del centro storico dell’Aquila, ma perché tutto quello che si intende con il termine città qui è negato.
Oltre le mura sono crollate le speranze, l’idea di un futuro possibile diminuisce ogni giorno che passa, nel confronto con la crisi economica, nell’incertezza della politica, nelle difficoltà che accomunano un’intera nazione.
Vivere all'Aquila è troppo difficile, il clima di scoramento e di sfiducia sta coinvolgendo sempre più persone, soprattutto i giovani, che stanno cominciando ad arrendersi e ad andare via.
Nell'ultimo anno abbiamo perso 3500 persone.
Le suggestioni propagandistiche di chi in questi anni è venuto a sollevare gli animi garantendo una tempistica sicura e finanziamenti certi per la ricostruzione del più ‘grande cantiere d’Europa’ è stata solo propaganda.
Per essere chiari ad oggi dopo 5 leggi speciali, 21 Direttive del Commissario Vicario, 25 atti delle Strutture di gestione dell'emergenza, 51 atti della Struttura tecnica di missione, 62 dispositivi della Protezione Civile, 73 ordinanze della Presidenza del Consiglio dei Ministri, 152 Decreti del Commissario Delegato, 720 ordinanze del Comune, dovrebbe essere finita l’epoca dei commissariamenti e tutto il processo della ricostruzione dovrebbe essere nelle mani degli enti locali, ma in realtà tutto resta saldamente nelle mani del Ministero dell'Economia e Finanza.
Alla Protezione Civile dei primi anni si è sostituita una moltitudine di ‘funzionari ministeriali’ che nel chiuso delle sedi, prendono decisioni con la consapevolezza che qualsiasi decisione può essere presa perché prima o poi verrà avallata dalla politica, più che mai oggi nella totale incertezza del panorama politico.
Questa totale depauperazione delle scelte da parte dei cittadini sulla propria città e sul proprio destino, sono appena tutelate dalle iniziative meritevoli delle assemblee, dei tavoli di confronto e delle singole iniziative, un fragile tentativo della nostra comunità di riacquistare consapevolezza.
Se la ricostruzione materiale è partita in parte, la ricostruzione sociale non è neppure immaginata, al di là della convegnistica e delle indagini sociologiche non c’è quasi nulla, mancano spazi e servizi pubblici.
Se qualcuno ci dice «Come vanno le cose all’Aquila?» viene voglia di rispondere: «Tutte chiacchiere e distintivo».
Arci L’Aquila
Fonte www.arci.it