Un terzo settore dinamico e in crescita

Un terzo settore dinamico e in crescita

di Maurizio Mumolo
 
I dati sul non profit emersi dal IX censimento Istat si prestano a letture contrastanti. Non c’è dubbio che questo comparto, il terzo settore, è quello che ha mostrato la maggiore dinamicità e, confrontato con le amministrazioni pubbliche e le imprese, è l’unico che riporta degli indicatori positivi.
 
A distanza di 12 anni dal precedente censimento (troppi, speriamo che l’Istat incrementi la frequenza delle sue analisi), questa branca della società ma anche dell’economia rappresenta oltre il 6% delle unità economiche del paese con il 3,4% degli occupati. In forte crescita i lavoratori ma anche i volontari che diventano 4,7 milioni. Un dato che fa riflettere e smentisce la tanto annunciata ‘crisi di vocazione’ del volontariato. E non si tratta di volontariato border line, magari di giovani con un’occupazione precaria: il forte divario tra nord e sud ci dimostra, anche in questo caso, che il benessere economico si accompagna al benessere sociale. Altra questione: il non profit non è solo assistenza sociale, come da molte parti si vorrebbe far credere, anzi il settore della cultura, dello sport e della ricreazione è di gran lunga quello più numeroso e anche con la maggiore presenza di volontari. Senza il non profit non ci sarebbero più l’assistenza sociale o le attività culturali e sportive, settori nei quali rappresenta la principale realtà produttiva del paese.Fa riflettere il dato dell’aumento degli occupati nel comparto dell’assistenza, dell’istruzione e della sanità a fronte di una pari diminuzione nella stessa area del settore pubblico. Qualcuno, commentando questi dati, ha vantato un rafforzamento dei soggetti della sussidiarietà orizzontale. Si direbbe piuttosto che stiamo assistendo ad una esternalizzazione rapida e non regolata di importanti servizi di pubblica utilità. Si potrebbe parlare di vera sussidiarietà, e cioè di ampliamento del protagonismo sociale dei cittadini organizzati, se fosse in atto una sperimentazione guidata alla trasformazione del nostro sistema di welfare, magari sostenuta da una buona dose di finanziamenti pubblici. Invece abbiamo una riduzione violenta delle risorse pubbliche investite in questo settore (meno 78% in sei anni), e addirittura molte associazioni ed imprese sociali rischiano di chiudere perché la PA non paga (i crediti vantati dal terzo settore ammontano a ca. 7 miliardi!). La verità è che a fronte di una grande vitalità delle organizzazioni non profit ed anche ad una indubbia maggiore qualità dei loro servizi rispetto a quelli resi dal pubblico o dal privato (basti vedere la percezione di benessere dei cittadini/utenti pubblici nelle regioni dove il non profit è più presente nella gestione dei servizi pubblici) abbiamo una amministrazioni pubblica nazionale e locale che guarda al terzo settore come ad uno strumento per risparmiare risorse, negandogli, nei fatti, quel ruolo che le statistiche gli assegnano. Stiamo ancor aspettando una interlocuzione istituzionale che al di là delle petizioni di principio entri nel merito delle questioni: strumenti di promozione, tavoli di partenariato, stabilizzazione del 5x1000, ridefinizione dell’IMU, fiscalità premiante, ecc. L’Istat ci ha restituito il quadro della situazione, quando se ne accorgerà la politica?
 
ArciReport n.29, 23/07/13