Riforma del Terzo Settore: si apre ora una lunga fase di transizione che ne determinerà il segno

Riforma del Terzo Settore: si apre ora una lunga fase di transizione che ne determinerà il segno

di Gabriele Moroni, resp. nazionale Sviluppo associativo ARCI

Sono in fase di pubblicazione i decreti attuativi della riforma del Terzo Settore, al termine di un percorso niente affatto lineare, fatto di lunghe pause prima, e poi confronti frenetici, testi ondivaghi che si alternano con pericolose correnti di risacca, che hanno ostacolato le potenzialità trasformatrici di una riforma di questa portata. In alcuni passaggi particolarmente difficili ci siamo trovati di fronte a testi fra le righe dei quali si leggeva chiaramente che ci stavamo scontrando con un modello astratto di Terzo Settore, con solo due poli, da una parte la gratuità, il volontariato, la filantropia; dall'altra le attività economiche e quindi le forme di impresa. Ed è grazie ad un importante attivismo, della nostra Associazione a tutti i suoi livelli, ed insieme a noi delle A.P.S. nazionali e del Forum del Terzo Settore, che si è tutelata la dimensione mutualistica e partecipativa dell'associazionismo popolare.

Fino ad oggi la locuzione “terzo settore” aveva definizioni in campo sociologico ed economico, e faceva riferimento ad un settore “terzo” rispetto allo Stato e al Mercato, un settore composto da soggetti di natura privata con funzioni di interesse pubblico o collettivo. Fino ad oggi il perimetro di questi soggetti era definito in primis da due caratteristiche fondamentali: l'assenza di finalità di lucro ed il funzionamento democratico. Con la legge delega prima (L. 106/2016) ed oggi con il nuovo Codice, il Terzo Settore trova una definizione giuridica, con un perimtro parzialmente diverso. Lo sguardo del legislatore si sposta dalla natura dell'ente, che era quella che definiva i soggetti nelle leggi speciali come la “nostra” L. 383/2000 sulle APS, alle attività: è un Ente di Terzo Settore quello che svolge – in attuazione delle proprie “finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale” – una o più “attività di interesse generale” definite dalla norma. Non tutte le associazioni noprofit saranno necessariamente parte del Terzo Settore quindi, un cambio di sguardo non da poco per il nostro mondo, che ha sempre fatto ampio uso della “duttilità” del modello APS. Se dal lalto associativo si restringe il campo, dall'altra rientrano nella definizione enti non vincolati necessariamente alla democrazia interna, come fondazioni e imprese sociali (anche in forma di società di persone o di capitali) e, nel caso delle imprese sociali, se costituite nelle forme di cui al libro V del codice civile, si apre al cosiddetto “low profit”, ammettendo forme parziali di remunerazione del capitale.
Il nuovo Registro unico del Terzo Settore prevede sette sezioni, dedicate a diverse qualifiche di Ente del Terzo Settore: alcune hanno una lunga storia, come le Società di Mutuo Soccorso (ex L. 3818/1886), altre sono più recenti e vengono ridefinite dal nuovo Codice (APS e OdV) o da un proprio decreto legislativo (D.Lgs 112/2017 per le Imprese sociali), mentre vengono definiti ex novo due soggetti, gli Enti filantropici e le Reti associative. Le diverse qualifiche, fatto salvo per le Reti associative, sono incompatibili fra loro, quindi è ammesso che ci sia una Rete associativa che nel contempo è anche Associazione di Promozione Sociale, ma una APS non può essere contemporaneamente Impresa sociale o Organizzazione di Volontariato. Le nuove agevolazioni fiscali saranno legate all'effettiva iscrizione al Registro unico.

Se da una parte si può senza dubbio apprezzare sia l'obiettivo di una maggiore trasparenza sia lo sforzo fatto dal Legislatore per ricondurre in un quadro normativo di sistema, il complesso di norme che negli anni si era via via articolato per stratificazioni successive, spesso poco coerenti, non si può non immaginare che ad esempio, essendo una riforma a saldo zero, quando si parla di grandi investimenti a favore dell'impresa sociale, si immagini di reperire le risorse dall'attuazione della riforma stessa, rendendo meno accessibili le agevolazioni fiscali riservate in precedenza al mondo dell'associazionsimo. In questo senso sicuramente l'aumento della burocrazia e limiti al raggiungimento dei propri scopi sociali sia nel campo della tipologia di attività, sia in quello organizzativo (ad es. rapporto lavoratori, volontari, soci), non sono propriamente quello che ci si aspetta da una riforma che ha l'obiettivo di sostenere l'autonoma iniziativa dei cittadini in forma associata.
Non amo molto gli articoli o gli interventi che a questo punto dicono che “bisogna raccogliere la sfida”, la sfida la raccolgono ogni giorno i nostri soci tenendo aperti con fatica spazi dedicati alla socialità, alla cultura ed alla solidarietà. Credo che il tema sia un altro, da un lato dobbiamo senz'altro cogliere delle opportunità, perché nel riconoscere le “Reti associative nazionali”, la nuova norma premia lo stare insieme in un grande progetto associativo, e – con qualche limitazione – lascia anche spazio a reti associative eterogenee, a cui aderiscano diverse tipologie di Enti del Terzo Settore; dall'altro dobbiamo fare un lavoro utile a far pesare di più culturalemente, prima ancora che politicamente, l'impatto sociale dei nostri numerosissimi circoli e delle loro attività. Domani non è il giorno dello switch off, che ci porta dalla vecchia norma a quella nuova, quindi non è il caso di farsi prendere dal panico, né di affidarsi ai tanti “maghi” del problem solving del terzo settore, che in queste ore stanno intensificando le proprie attività di marketing, ma si apre un lungo percorso di transizione (nel testo sono previsti fino a 18 mesi di tempo per adeguare gli statuti) durante il quale dovranno essere emanati numerosi decreti ministeriali, attraverso i quali passerà molto del nostro futuro, molta sostanza che ci permetterà di giudicare davvero come questa riforma sia poi servita a sviluppare il Terzo Settore o meno. Ed anche in questa fase sarà determinante la nostra capacità di definire al nostro interno obiettivi e strategie comuni, ed essere presenti e attivi nel dibattito che si svilupperà nel percorso di attuazione della riforma.

(arcireport n. 25 - 27 luglio 2017)