Se l'intento è quello di costruire un nuovo patto sociale per risanare i conti pubblici, creare occupazione e rilanciare lo sviluppo, allora va perseguito attraverso il confronto, la mediazione e l'intesa fra tutte le parti sociali. Non può esserci spazio per atteggiamenti pregiudiziali, tentazioni di rivincita o regolamenti di conti. Gli accordi si fanno se ci si siede al tavolo riconoscendo dignità alle diverse opzioni. Non si può affermare di voler cercare un'intesa e al tempo stesso pretendere di imporre unilateralmente tempi del negoziato e soluzioni. Non giova al buon esito della trattativa sul lavoro l'insistenza sull'articolo 18 da parte del governo e dei media legati ai grandi gruppi finanziari. Una cosa è la revisione della norma, altro è la libertà di licenziare. L'articolo 18 non c'entra niente con le misure per l'occupazione, è solo una garanzia contro l'arbitrio dei licenziamenti ingiustificati, ed è tanto più attuale oggi di fronte alla lesione dei diritti operata dalla Fiat nei suoi stabilimenti. Per combattere veramente la precarietà si dovrebbero piuttosto ridurre le tipologie contrattuali esistenti; per rafforzare gli ammortizzatori sociali si dovrebbero cercare nuove risorse e non ridurre le tutele esistenti. C'è il rischio che l'articolo 18 diventi un simbolo, una bandierina da conquistare per cogliere l'occasione di indebolire il sindacato e la Cgil in particolare. Non sappiamo cosa si siano detti Marchionne e Monti nel loro incontro. Ma è lecito chiedersi se si stia cercando la coesione o la rottura delle relazioni sociali. A chi giova una riforma non condivisa del mercato del lavoro, con inevitabili e pesanti conseguenze sulla conflittualità sociale? In pochi giorni si sono svolte due grandi manifestazioni: a Roma quella della Fiom per i diritti del lavoro e la democrazia, a Genova quella del popolo antimafia nella giornata della memoria e dell'impegno. Due belle manifestazioni, diverse nelle forme e nelle presenze eppure simili nei contenuti: la consapevolezza che in Italia non c'è prospettiva di sviluppo senza chiudere la stagione dell'illegalità, del sopruso, della mortificazione dei diritti, del saccheggio del territorio e del denaro pubblico. Che battersi contro le mafie significa difendere il diritto al reddito, la dignità del lavoro, i servizi sociali, gli spazi di partecipazione civica. Che tutto questo, nell'Italia della crisi e dell'impunità dei poteri forti, pone un enorme problema di democrazia.