Forse non tutti sanno che il Caffé Basaglia, circolo ARCI a Torino, nasce con una vocazione molto particolare, ossia il reinserimento nel tessuto sociale di persone con problemi e/o disabilità mentali, dando vita a un progetto sfaccettato e dalle molteplici ricadute sul territorio e sulla cittadinanza. Innanzitutto va notato come il Caffé Basaglia sia un progetto politico, perché basato sull’associazionismo, clinico, perché centrato sul riapprendimento di abilità da trasferire all’esterno come competenze lavorative, ed estetico, perché attento alla qualità del prodotto: i soci non giocano a fare il circolo e il ristorante, lo fanno!
Premessa.
Nella attuale crisi del Welfare State che si riscontra a livello nazionale, una panoramica sul campo della salute mentale non può non rilevare che gli effetti della legge 180 del 1978, anche conosciuta come legge Basaglia dal nome dello psichiatra che ne fu ideatore e motore propulsore, hanno prodotto non la auspicata de-istituzionalizazione legata alla chiusura dei famigerati manicomi con apertura ad una moderna e dinamica psichiatria territoriale, quanto piuttosto una trans-istituzionalizazione.
Non si è riusciti se non in pochi dipartimenti ad attuare quella saldatura con la comunità locale che era negli intenti, creando invece piccole strutture “bonsai”, gli ambulatori di salute mentale, che, ancora troppo scollegati dalla cittadinanza, rendono difficile il lavoro di prevenzione e di inclusione.
Il Welfare State, come effetto collaterale che ha trasceso il lodevole intento di accesso democratico alle cure per tutti i cittadini, ha prodotto una perversione che, sviluppando la rete formale (i servizi pubblici) ha ipertrofizzato le risorse a fronte della crescita della domanda, contribuendo a favorire nella cittadinanza un atteggiamento di delega rispetto alla gestione del benessere psichico.
Si è così sviluppato il concetto di presa in carico globale, che ha favorito una cronicizzazione di comportamenti passivi e richiedenti, mentre lo scollamento del tessuto sociale ha favorito atteggiamenti espulsivi o di indifferenza, perdendo vari fondamentali fattori spontanei di terapia che sono la solidarietà, la partecipazione ed il senso di appartenenza.
La nascita del progetto
Sulla base delle considerazioni sopra esposte ci proponiamo di catalizzare nella nostra realtà territoriale un moderno processo di empowerment, ovvero di riconoscimento e supporto alle reti informali della solidarietà primaria (amici, parenti, vicini) e secondaria (volontariato, associazionismo), creando un’onda lunga di cambiamento che, in rete con i servizi territoriali, permetta la sensibilizzazione, l’informazione ed il coinvolgimento della comunità locale.
Considerazioni cliniche e sociali
Uno degli effetti più devastanti della malattia psichiatrica è sicuramente l’isolamento sociale legato agli effetti della patologia, che risulta essere molto spesso cronica ed invalidante: si tratta di deficit non tanto qualitativi (l’intelligenza, l’affettività e la capacità di apprendimento non sono compromessi), quanto piuttosto quantitativi, nel senso che la capacità di concentrarsi e prestare attenzione risulta diminuita e sensibile agli eventi stressanti ed agli stimoli.
Capita nel tempo che le persone colpite da queste malattie si ritrovino a perdere le opportunità di lavorare e coltivare relazioni a fronte di ritmi che non sono in grado di reggere e pregiudizi che alimentano e rafforzano l’esclusione già insita nelle caratteristiche della patologia.
Quello che ci proponiamo pertanto, attraverso il coinvolgimento in rete del territorio e del servizio pubblico, è di attivare tutte le risorse per un superamento dei pregiudizi, una riattivazione del sentimento dell'identità collettiva intorno ad obiettivi condivisi e partecipati. Riteniamo che sia possibile lavorare sullo stigma verso la malattia mentale favorendo la mescolanza e la prossimità che portano allo scambio di identità ed in quest’ottica si inserisce il percorso che ha portato alla costituzione del Caffè Basaglia.
Le tappe del progetto
Il lavoro nelle strutture pubbliche
Uno degli effetti secondari della malattia psichiatrica consiste nella perdita di abilità sociali cui consegue una perdita di ruolo sociale: non più lavoratori, né studenti, si inizia un percorso di deriva sociale che aggrava il quadro clinico.
Scopo di quella che in termini tecnici viene definita riabilitazione è apprendere nuove abilità o recuperare quelle perse con l’insorgere della malattia, per poterle poi trasferire all’esterno come competenze.
Nella nostra realtà (il Centro Diurno del Dipartimento di Salute Mentale dell’Asl 4 di Torino) ci siamo trovati ad affrontare questo problema: la consuetudine di imparare a cucinare nei gruppi pranzo e i corsi alberghieri in “borsa lavoro” con il lodevole proposito di acquisire autonomia, si scontravano nella realtà con la difficoltà a trasferire queste competenze nella vita quotidiana (i pazienti che vivono in famiglia difficilmente hanno spazio e voglia di cucinare, mentre chi vive da solo ha problemi troppo grandi per mettersi ai fornelli quando piomba nella solitudine della sua casa. Inoltre la difficoltà a reggere i ritmi lavorativi e la rarità quasi assoluta di lavori protetti produce un cortocircuito di frustrazioni).
La vita ha un senso se le azioni hanno il significato del percorso, della traiettoria, non se risulta spezzettata in azioni spesso senza sbocco, che rischiano di acuire il senso di fallimento ed emarginazione, nonché la tentazione di rifugiarsi sempre più nel ruolo di malato grave da assistere.
Consapevoli di non potere, né volere proseguire in questo circolo vizioso, abbiamo iniziato il progetto catering con l’associazione VOL.P.I. (Volontari Psichiatrici Insieme).
Un ponte verso il fuori: l’associazione VOL.P.I.
Nel Settembre del 1998 organizziamo una festa presso una Polisportiva del quartiere.
Al termine dell’evento, condito da musica, sport e danze, organizziamo un corso di sensibilizzazione ed informazione sui problemi della salute mentale con alcuni cittadini conosciuti durante la festa.
Nel Maggio del 1999 si costituisce l’Associazione VOL.P.I. (che si iscrive al registro regionale), con l’intento di operare per un reinserimento sociale dei pazienti.
Il coordinamento tra volontari ed operatori permette una serie di iniziative (uscite serali, mercati per vendere le opere prodotte al Centro Diurno e soggiorni estivi pagati con il ricavato), ma nel tempo nasce il desiderio di creare alternative per un’autonomia attraverso soluzioni lavorative creative, bisogno di mescolanza, riscoperta del piacere come strumento terapeutico, orizzontalità nel senso di evitare, per quanto possibile, ruoli e gerarchie.
Il progetto catering
Con i soldi ottenuti da un bando regionale, l’Associazione VOL.P.I. organizza nel 2001 un laboratorio di cucina con un cuoco tutor. Al termine del corso si struttura un gruppo composto da pazienti, volontari e qualche operatore, che inizia una serie di cene quindicinali presso due Circoli ARCI che mettono a disposizione cucina e locale.
Contattiamo associazioni locali (Amnesty International, Libera contro le Mafie e altre) per organizzare serate in cui noi forniamo il servizio e loro i clienti tramite iniziative, al fine di evitare quell’intrappolamento felliniano per cui si rischia di trovarsi sempre e solo tra addetti ai lavori e familiari, in una opprimente sensazione di chiusura e mancanza di speranza.
Tappe successive ci portano ad ottenere la gestione del servizio ristorazione e bar di un Circolo ARCI e del piccolo bar di una Polisportiva iniziando il progetto di reale integrazione con il territorio.
Obiettivi dell’attività nei circoli
promuovere l’autonomia dei pazienti attraverso:
- la creazione di un lavoro che generi retribuzione e ruolo sociale
- la promozione di stages per cuochi, camerieri e barman
- il rafforzamento delle relazioni sociali
Contenere la vulnerabilità legata alla malattia (minore resistenza agli stress) attraverso:
- l’organizzazione non rigida dei turni e la discussione settimanale collettiva in un gruppo nel quale si possano elaborare problemi e vissuti, condividere successi e speranze e far sì che, quando una persona non se la sente o non è in grado di svolgere la serata, può assentarsi senza danneggiare l’attività e ritornare quando il momento critico è passato
- la possibilità di turn-over
- il coordinamento tra volontari, operatori e pazienti in una gestione il più possibile partecipata e democratica
Creare una cultura di scambio e mescolanza, insite nella natura stessa del Circolo, locale pubblico in cui l’unica condizione necessaria è la tessera ARCI.
Destinatari del progetto e benefici connessi
La cittadinanza
Si attua una sensibilizzazione verso il tema della psichiatria con un’esperienza diretta che costituisce un arricchimento culturale ed umano.
I pazienti non sono più visti solo come pericolosi e imprevedibili, ma anche nelle vesti di abili e simpatici barman, camerieri, cuochi, favorendo una nuova angolatura per rompere i pregiudizi e modificare lo stigma sulla malattia psichiatrica.
Gli operatori Asl
Questo concreto lavoro di rete crea un piccolo polmone per le scarse risorse del Dipartimento di Salute Mentale, permettendo di lavorare con le loro specificità tecniche, senza dover aggiungere alle funzioni di cura anche quelle di gestione del tempo libero o di ricerca di lavoro.
Nostra ambizione sarebbe anche quella di limitare una visione medicocentrica della salute mentale attraverso l’apporto di punti di vista diversi e non esclusivamente degli addetti ai lavori.
I pazienti
Oltre a quanto esposto in precedenza in termini accademici, ci piace usare le parole e il modo di raccontarsi dei pazienti stessi:
“….non so se sono guarita, da quando faccio la cuoca le voci mi disturbano di meno, sono contenta e mi sento bene e per me è come se fossi guarita”
“E’ bello guadagnare dei soldi, ti senti importante se hai un lavoro”
“ E’ bello avare un posto dove incontrare gente”.
Un altro momento per noi fondamentale passa attraverso la
scuola territoriale permanente : ogni sei mesi organizziamo un ciclo di quattroincontri rivolto ai clienti del locale e ai loro amici, in cui operatori, volontari, familiari e pazienti raccontano la malattia mentale secondo il loro punto di vista.
Ciò permette il passaggio per i pazienti dal ruolo di portatori di un handicap a quello di esperti di un disagio dai quali imparare.
Perché il Caffè Basaglia?
Per avere uno spazio nostro che non dipenda dagli umori o dai bisogni dei gestori
Perché è uno spazio abbastanza grande (550 mq) per poter promuovere attività musicali e culturali
Perché è abbastanza grande per coinvolgere nella gestione altre associazioni che non si occupino di psichiatria per non rischiare di diventare un altro ghetto o una specie di giardino zoologico
Perché, se deve funzionare e dare lavoro, deve essere in grado di svolgere non solo un buon servizio di ristorazione, ma anche promuovere incontri ed eventi che lo rendano competitivo. Occorrono quindi spazi isolati e adatti allo scopo (nel locale precedente i vicini hanno fatto una petizione perché dicevano che disturbavamo con la musica, essendo il locale troppo vicino alle case).
Partnerships
Associazione VOL.P.I. con una quindicina di volontari attivi e una ventina di pazienti
VIDEOCOMMUNITY che promuove, attraverso la tv di quartiere, l’informazione locale diretta e partecipata
C.I.O.P.P. (coordinamento internazionale oltre il pregiudizio psichiatrico) che promuove eventi per contrastare il pregiudizio verso la malattia mentale, lavorando in rete con “radio la colifata” che trasmette dal Borda, il manicomio di Buenos Aires.
Risulta sottinteso che lo spazio è aperto a qualsiasi associazione o singolo cittadino, nell’intento di creare uno spazio fisico che funzioni da cantiere sociale, laboratorio di pensiero per un recupero della funzione del tessuto sociale, disgregato come conseguenza dell’agire del processo neoliberista.
Occorre contrastare il pericoloso restringimento del concetto di cura sul versante medico-biologico, declassando il resto a contorno.
Un recente studio di Emanuela Terzina, ricercatrice presso il Dipartimento di epidemiologia clinica dell’Istituto Mario Negri ci dimostra come a livello predittivo la diagnosi incida relativamente poco sulla prognosi (5%, mentre la presenza di una rete sociale incide per il 35% sull’andamento della malattia.
Intendiamo essere tra i portavoce di chi non considera il disagio psico-sociale, la povertà, l’appartenenza ad altre culture solamente come un problema, come luogo del disagio e della sofferenza, ma come uno spazio nel quale recuperare creatività, solidarietà, senso di appartenenza, diritto di cittadinanza e diritto ad una informazione libera, partecipata e dal basso.