Grecia: per chi suona la campana

Grecia: per chi suona la campana

Grecia: per chi suona la campana. 
di Alfonso Gianni, direttore della Fondazione 'Cercare ancora' 

Atene brucia. Un popolo disperato si rivolta. Il flemmatico commissario europeo Olli Rehn scrive che «questi individui non rappresentano la stragrande maggioranza dei cittadini greci». Ovvero i governanti dell'Europa non capiscono o fingono di non capire. E costringono la dirigenza greca a ulteriori giri di vite. Papademus è lì per questo. In fondo è un membro provvisoriamente in sonno della famigerata Trilateral Commission - come Mario Monti del resto - quella che nel '73, appena nata, si diede da fare per garantire il successo del colpo di stato in Cile. Sono preoccupati che in qualche modo la democrazia torni a fare valere la sua voce, visto che le elezioni in Grecia sono convocate in aprile. Quindi pretendono che tutte le forze politiche si dichiarino apertamente a favore delle misure che massacrano l'economia di quel paese.

La signora Merkel dichiara che il default greco avrebbe effetti devastanti, ma intanto si comporta in modo da provocarlo. Dimentica volutamente che le differenze fra i bund tedeschi e i titoli greci hanno fruttato più di otto miliardi di euro con i quali la Cancelliera ha potuto mantenere l'economia del suo paese in condizioni migliori di altre. Vi è chi pensa che la classe dirigente tedesca ha già scontato il default della Grecia e al massimo si muoverà per impedire quello di Portogallo, Spagna e naturalmente dell'Italia. In effetti il debito greco è ben piccola cosa, circa il 2,5% del Pil europeo, mentre quello della sola Italia è sei volte tanto. Il nostro default sarebbe certamente la fine dell'Euro. A quello greco pensano di sopravvivere, con molto cinismo verso le sorti di quel popolo. Quindi via libera agli squali della speculazione. Sul Sole24Ore di qualche giorno fa compariva virgolettata la seguente dichiarazione di un dirigente di un hedge fund, desideroso di anonimato, «può sembrare impietoso, ma della Grecia, dei greci e del futuro dell'euro non importa a nessuno qui: conta solo uscirne con un congruo bottino». Così avverrà se il 20 marzo il governo greco non avrà i 14,4 miliardi di euro per fare fronte ai titoli in scadenza. Sarà default tecnico, essendo quello politico, democratico e sociale avvenuto da tempo. Come si vede le cifre in gioco non sono così clamorose. I conti furono truccati, ma la colpa non è solo dei governi di destra di Atene, ma anche e soprattutto di chi in Europa li ha certificati, perché tornava comodo fare così. Risolvere il problema sarebbe economicamente semplice.
Fosse stato fatto un paio d'anni fa, con un accordo sulla ristrutturazione del debito, sarebbe costato molto meno. Qui sta la dimostrazione del carattere disastroso delle politiche dominanti in Europa, della logica del rigore, dell'austerità espansiva - ossimoro irrealizzabile - secondo la formula della Merkel, della punizione di uno per educarne cento. L'illusione di contenere il contagio, di fare fuori la Grecia dall'Europa senza sgradevoli effetti collaterali ricorda molto la famigerata teoria delle bombe intelligenti.

Intanto le agenzie di rating infliggono agli altri paesi mediterranei nuovi declassamenti.
Anche l'Inghilterra è sotto schiaffo. Il loro ruolo al servizio della speculazione finanziaria è ormai chiaro. Lo indicano i loro clamorosi conflitti di interesse, visto che la proprietà delle tre grandi agenzie di rating è in mano a quegli stessi fondi che traggono vantaggio dai loro giudizi. La crisi, il cui andamento è ormai peggiore di quella seguita al crollo di Wall Street del '29, è arrivata a un punto talmente grave che si gioca allo scoperto, senza pudore. La Bce dice che rinuncia a 11 miliardi di plusvalenze sui titoli greci. Ma questo non basta a calmare le acque. Bisogna modificare le norme che
impediscono alla Bce di funzionare da prestatore in ultima istanza, da vera banca di un'Europa politica federale. «L'Italia non è la Grecia» ha detto Giorgio Napolitano. Ma entrambe sono Europa.
Allora vengono in mente i celebri versi di John Donne, scritti 400 anni fa ma drammaticamente attuali:

Nessun uomo è un'isola, intero per se stesso;
Ogni uomo è un pezzo del continente,
parte della Terra intera;
e se una sola zolla vien portata via
dall'onda del mare,
qualcosa all'Europa viene a mancare,
come se un promontorio
fosse stato al suo posto,
o la casa di un uomo, di un amico
o la tua stessa casa.
Ogni morte di uomo mi diminuisce perché
io son parte vivente del genere umano.
E così non mandare
mai a chiedere per chi suona la campana:
essa suona per te.
(John Donne)

(Arcireport n.6 del 14 febbraio 2012)
www.arci.it