Con la Conferenza di Tivoli l'Associazione ha deciso di avviare una grande opera di manutenzione e di miglioramento organizzativo e politico. Una grande sfida che arriva dopo un lungo lavoro di monitoraggio e analisi del territorio e, soprattutto, dopo che la presidenza nazionale, unitamente ai comitati regionali, ha preparato, non senza difficoltà ma con grande determinazione, le premesse e i presupposti per questo impegno.
L'anno che ci separa dal congresso quindi dovrà essere dedicato a questo importante lavoro. Tornare indietro o disattendere le aspettative emerse a Tivoli manderebbe al nostro gruppo dirigente diffuso un segnale di incapacità ad affrontare un lavoro di cui abbiamo davvero bisogno: dotarci strumenti adeguati e al passo con i tempi che viviamo e coerenti con un pensiero collettivo e di scenario sull'Arci, sul suo ruolo sociale, culturale e sul suo modo di essere e agire, tanto nella dimensione nazionale, quanto in quella territoriale. A maggior ragione se vogliamo rendere agibile e concreto il fatto di «essere al servizio delle nostre basi associative e dei nostri soci, sia politicamente, sia in termini di servizi e opportunità».
Il rischio di «ossessionarci di noi stessi» esiste, ed è bene quindi, dirsi in premessa che, nonostante alcuni limiti pochi possono vantare una rete così articolata sul territorio nazionale come l'Arci.
Oggi qualcuno la definisce una vitale infrastruttura della democrazia italiana.
La penso anch'io così.
Cosa fare dunque oggi? In primo luogo, mantenere quel lavoro di ricognizione e monitoraggio continuo, teso a riannodare i fili, tessere continuamente le reti, provando a rafforzare e a rendere fluidi (e costanti) i rapporti tra i territori e tra i territori e l’associazione nazionale. La verticalità della nostra filiera organizzativa, infatti, presuppone un determinato funzionamento con nodi importanti che devono interagire tra loro, con compiti e funzioni differenti e, quindi, con strumenti differenti. Ma perché allora continuiamo a percepire una sofferenza di questi meccanismi di rete? Con una certa franchezza intanto possiamo dirci che si fa ancora una certa fatica a ‘rompere’ quell'idea che del territorio bisogna occuparsi solo a danni conclamati. Non sfugge che per fare questo occorrono le proposte organizzative ma anche una decisa volontà politica della Direzione Nazionale e, soprattutto, la disponibilità del territorio ad uscire da un'idea dell'autonomia che in taluni casi rischia addirittura l'autismo. È per questo, anche, che non convincono del tutto le declinazioni esclusivamente geografiche di ‘territori forti e territori deboli’. Il punto non è quello ma determinare (e pretendere) che un comitato regionale o territoriale del sud sia messo nelle condizioni minime di opportunità di lavoro di uno del nord. Insomma uguali diritti ma anche uguali doveri. Infine non sfugge che ripensare il nostro insediamento, proponendo modifiche organizzative al territorio significa al contempo ripensare ad una struttura nazionale coerente e funzionale. Un ripensamento complessivo necessario che, a differenza del passato, arriva sulla base di un reale lavoro di studio e analisi e non sulla base di semplici suggestioni.
Walter Massa, responsabile nazionale organizzazione rete territoriale ARCI