Con la mafia si lavora e con lo Stato no? Sembra impossibile ma questo interrogativo è stato posto talvolta, magari provocatoriamente, quando attività economiche e produttive, simbolo del potere delle mafie, una volta sequestrate dallo Stato, siano rimaste chiuse lasciando senza lavoro e senza reddito i lavoratori coinvolti. Le carenze dell'attuale legislazione e l'assenza del ruolo del governo non consentono infatti che esse diventino modelli di legalità economica capaci di garantire sicurezza sociale. Ciò rischia di tradursi in una sconfitta dello Stato nei confronti della criminalità, il cui consenso deriva proprio dalla capacità di dare lavoro in territori di grave disoccupazione ed esclusione. Rendere le aziende sequestrate e confiscate presidi di legalità democratica ed economica e capaci di garantire lavoro dignitoso e legale è perciò l'obiettivo della campagna nazionale Io riattivo il lavoro, promossa da forze sindacali e associazioni (Cgil, Anm, Libera, Arci, Acli, Confesercenti, LegaCoop, Avviso Pubblico, Centro Studi Pio La Torre, Sos Impresa). Alla campagna si affianca lo strumento di una proposta di legge di iniziativa popolare, con cui raccogliere centinaia di migliaia di firme (c’è tempo fino al 31 maggio) per ampliare l'attuale copertura degli ammortizzatori sociali; favorire l'emersione alla legalità dell'azienda nel momento della gestione da parte dell'autorità giudiziaria; sostenere il percorso di riconversione delle aziende per rilanciarle nella fase di confisca. In Italia, al 2 novembre 2012, sono 1636 le aziende confiscate e il 90% di queste sono destinate al fallimento, con circa 80mila lavoratori coinvolti.
Il quadro che emerge è devastante: circa 72mila lavoratori e lavoratrici - sempre più spesso inconsapevoli della mafiosità del proprio datore di lavoro - hanno pagato con il licenziamento e la disoccupazione l'inadeguatezza delle istituzioni nel valorizzare l'enorme patrimonio economico costituito dalle aziende confiscate, e ciò avviene proprio in territori già fortemente condizionati dalla zavorra mafiosa. I sequestri e le confische dall'inizio della crisi sono aumentate del 65%, un dato drammatico e poco noto, che testimonia a pieno la vulnerabilità del nostro tessuto economico. Tutti i settori produttivi sono coinvolti dal fenomeno, una percentuale molto alta riguarda settori chiave per il nostro paese come il terziario (45%), l'edilizia (27%) e l'agroalimentare (8%).
È possibile trovare aziende sequestrate e confiscate in tutta Italia, da Nord a Sud.
Le regioni con il numero più alto di aziende sono la Sicilia (37%), la Campania (20%), la Lombardia (12%), la Calabria (9%) e il Lazio (8%). Fra le proposte, quindi, ci sono la costituzione di una Banca dati delle aziende sequestrate e confiscate, la valorizzazione del territorio, la tutela dei lavoratori, l’uso sociale delle aziende. L’Arci invita tutti i comitati territoriali e regionali a promuovere la campagna attraverso la raccolta di firme da effettuarsi seguendo il vademecum contenente le regole per la buona riuscita dell'iniziativa e per l'effettiva validità delle firme raccolte.