I segnali che quella del 9 dicembre non fosse una protesta democratica c’erano tutti.
Se i primi appelli invocavano genericamente una ribellione contro la crisi: la globalizzazione, la moneta unica, «un governo di nominati», immediatamente sigle misconosciute, come il ‘Fronte di liberazione dai Banchieri’ e i ‘Comitati Riuniti Agricoli’ guidati da Danilo Calvani, hanno esplicitato l’obiettivo: la rimozione dell’attuale classe politica, dopo la quale «vi sarà un periodo transitorio in cui lo stato sarà guidato da
una commissione retta dalle forze dell’ordine». Più che una rivoluzione si annuncia un golpe.
Sono seguite le adesioni della galassia neofascista, da Forza Nuova (insieme alla Lega della Terra, sua organizzazione collaterale) a CasaPound, che di recente ha stretto rapporti con i greci di Alba dorata e ne condivide apertamente i programmi.
E a chi, come l’
ANPI piemontese, aveva denunciato alle autorità il capillare lavoro di intimidazione di marca tipicamente mafiosa messo in atto nei confronti dei commercianti da parte del fantomatico ‘Comitato per la rivoluzione’ è stato risposto che non si doveva fare dell’allarmismo; che tutto era monitorato e quindi la situazione sotto controllo.
Quanto è accaduto e sta accadendo a Torino non ha precedenti nella storia del dopo guerra: posti di blocco in centro e in periferia hanno operato senza intervento delle FFOO, scontri in centro città, minacce, saluti romani, a Nichelino sono stati assaltati il palazzo civico e alcune scuole. I mezzi della polizia dotati di getti d’acqua annunciati dal Ministro dell’Interno per liberare le strade non sono stati utilizzati, contrariamente a quanto accade in Val di Susa.
In piazza, oltre all’estrema destra (fra questi il capogruppo di Fratelli d’Italia al comune di Torino Maurizio Marrone), un mix di autotrasportatori, ultrà, commercianti, giovani disoccupati, trascinati da una legittima e non meglio precisata voglia di protesta che non ha trovato altro sfogo, situazioni di precarietà alle quali sarà importante dare risposte concrete per arrestare questa pericolosa deriva.
Gabriele Moroni,
coordinamento ARCI Piemonte
(10/12/13 - Arcireport n.45)