Sull’orlo del baratro

Sull’orlo del baratro

Creato: Tue, 29/05/2012 - 20:40
di: Piemonte
Sull’orlo del baratro

Sull’orlo del baratro
di Alfonso Gianni, direttore della Fondazione 'Cercare ancora'. 

Si aprono settimane davvero decisive per la Grecia, per l’Europa, per il futuro dell’euro. Non solo perché il 17 giugno si rivota nel paese ellenico, ma soprattutto perché la crisi nel frattempo ha continuato a provocare i suoi danni. Il tentativo di attribuire quanto potrebbe avvenire nel vecchio continente - e già avviene con il peggioramento della situazione economica e delle previsioni per il futuro - all’esercizio di un atto elementare di partecipazione popolare quali sono le elezioni politiche, la dice lunga sulla crisi profonda di democrazia accentuata dai processi della crisi economica.
È chiaro che tanto le cancellerie europee, quanto i mercati si apprestano a gridare allo scandalo se dalle urne greche dovesse emergere una più netta affermazione della formazione di sinistra Syriza. Poco importa che questa abbia scelto nettamente la strada della permanenza in Europa e nell’euro. Un capro espiatorio va comunque trovato.
Ma le responsabilità stanno altrove e le forze della sinistra europea dovrebbero dirlo con ben altra forza. Dopo ben 24 summit europei la crisi greca non ha trovato soluzione e neppure si è riusciti a invertire la tendenza al peggioramento dell’economia su scala continentale. Il prossimo 25° incontro non fa prevedere esiti migliori. La colpa sta nelle politiche fin qui attuate nella Ue. La logica del rigore ha portato a incancrenire la malattia. Se un intervento meno miope fatto per tempo sarebbe costato all’Europa non più di trecento miliardi di euro, ora il default greco può provocare come minimo uno sconquasso da mille euro. Senza contare che nessuno è in grado di valutare realmente quanto possano costare gli effetti del cosiddetto contagio, al quale certamente il nostro paese non potrebbe sfuggire. È ormai consapevolezza diffusa tra gli analisti economici che la Grecia non è in grado di pagare il suo debito pubblico, neppure dopo il taglio del 50% dei mesi scorsi. Né può rispettare le regole draconiane che le sono state imposte. Se non ci saranno nuovi finanziamenti, lo stato greco sarà nella impossibilità pratica di pagare stipendi e pensioni. La richiesta di Syriza di rinegoziare interamente il cosiddetto pacchetto di aiuti a suo tempo concordato con la troika appare dunque come la via più realistica. Se questo non avviene, il default incontrollato è certo e con esso l’uscita della Grecia dall’Euro. Il sistema europeo non prevede alcuna possibilità di uscita concordata, che quindi può avvenire solo per via traumatica; la scelta della moneta unica è irreversibile; ma allo stesso tempo non vi è alcuna rete di salvataggio preventivamente disposta per evitare il default di uno stato, essendo il fondo di recente costituzione del tutto insufficiente. Solo il cambiamento radicale della missione della Bce potrebbe servire a tale scopo e in prospettiva ancora più la trasformazione della Ue in un’entità federale a tutti gli effetti. Tempi lunghi in entrambi i casi.

Intanto siamo sull’orlo del baratro. Il ritorno alla dracma non sarebbe indolore. La Grecia riotterrebbe sì la sovranità monetaria, ma al prezzo di un rilancio dell’inflazione e senza possibilità di accesso ai crediti internazionali. Ma, al limite, con una sapiente azione di governo, le conseguenze potrebbero essere persino più contenute del programma di lacrime e sangue imposto dalla troika.

Sarebbe l’Europa in realtà ad avere la peggio da un default della Grecia. La moneta unica perderebbe di credibilità, alimentando tutte le possibili manovre speculative. I primi ad esserne colpiti sarebbero i paesi del Mediterraneo, come Portogallo, Spagna e Italia. A questo punto l’euro non potrebbe
reggere e con esso neppure quell’Europa che fin qui abbiamo conosciuto. Già ora la Germania pratica tassi di interesse negativi.
Malgrado questo, sta attirando capitali nel proprio territorio, accogliendo quelli che fuggono dalle banche dei paesi più deboli terrorizzati da possibili svalutazioni. Sono questi ultimi a finanziare la Germania e non viceversa.

Al contrario una politica di ricerca dell’unità con i paesi mediterranei e con l’Irlanda andrebbe praticata per modificare radicalmente la politica dominante nella Ue. Per questo è importante il referendum che si terrà in Irlanda sul fiscal compact, così come il fatto che Hollande non sia lasciato solo nel
suo difficile tentativo di scalfire la rigidità tedesca. Le elezioni in Germania, previste nell’autunno del 2013, sono troppo lontane. L’Europa potrebbe crollare prima. Per questo la sconfitta della Merkel e della sua politica va costruita da subito.

(Arcireport n.19 del 29 maggio 2012)
www.arci.it