Dovremmo essere ancora una volta molto grati ai democratici della sponda sud del Mediterraneo e alla loro seconda rivoluzione in tre anni. Dovremo sostenerli e stare loro vicini, in tutti i modi possibili. Non solo per il loro coraggio, per l’intelligenza e la determinazione a difendere il loro paese.
La seconda rivoluzione egiziana alza il velo su un tabù consolidato nei paesi come il nostro, dove la modernità affonda le sue radici nella democrazia liberale classica. E ci parla, ci dice cose che è urgente ascoltare, per trovare anche noi un credibile progetto di futuro, e la forza di farlo avanzare. Ci dimostra che, se non è al servizio dei diritti e della democrazia reale, la democrazia formale può essere un inganno. E che, in questo caso, ribellarsi alle sue regole è giusto e necessario.
«Il fascismo può affermarsi anche attraverso il voto, e voi europei questo lo sapete bene». I leader dei sindacati indipendenti egiziani hanno spiegato così il senso della sollevazione popolare in Egitto, due giorni prima del suo inizio, in un incontro a Bruxelles con organizzazioni sociali europee aderenti alla rete di Solidar. «I Fratelli Musulmani hanno approfittato della fiducia accordata loro dal popolo per violare la legalità democratica che gli aveva permesso di andare al potere», hanno detto. E qui sta il nodo. Non si può usare la democrazia per ammazzare la democrazia. Morsi è stato democraticamente eletto, la sua Costituzione è stata approvata, seppur di poco, con un referendum popolare. Le regole della democrazia legittimano il suo potere. E però il suo governo non è legittimo. Perché ha usato i dodici mesi in cui ha governato per negare all’Egitto la possibilità di costruire una democrazia reale.
Ha impedito che l’Egitto del dopo Mubarak si dotasse di un campo da gioco istituzionale dove tutti gli attori politici e sociali avessero a disposizione gli stessi strumenti e le stesse possibilità, blindando a suo favore la nuova Costituzione - una Carta fondamentale che va contro i diritti delle donne, le libertà civili e religiose.
Ha distrutto la costruzione di uno spazio pubblico democratico e partecipato, non riconoscendo i sindacati indipendenti e mettendo le pastoie alle organizzazioni di società civile.
In economia, ha sposato un liberismo selvaggio ed aggressivo, che nega a priori i diritti sociali alla maggioranza della popolazione.
All’occupazione del potere ha accompagnato la corruzione. Si è permesso un attacco a tutto campo alla laicità e alla convivenza, mettendosi in poco tempo contro anche tutto l’islam moderato.
I democratici egiziani, finalmente uniti, sono stati geniali quando hanno deciso di rispondere all’autoritarismo crescente con la democrazia radicale, decidendo di raccogliere in due mesi quindici milioni di firme per le dimissioni di Morsi. Alla fine, di firme ne hanno raccolte molte di più, almeno ventidue milioni.
E hanno così ribaltato la condizione che aveva portato i Fratelli Musulmani al successo elettorale - andando loro laddove sta il popolo minuto, illetterato, povero delle periferie e delle campagne.
Le prossime ore saranno cruciali, e quale sarà la prossima tappa di una lotta drammatica e determinante per tutta la regione non è scontato. Ma in ogni caso gli analisti che da tempo avevano decretato l’arrivo prima dell’autunno e poi dell’inverno arabo dovranno rivedere le loro convinzioni. Come del resto già avevano dovuto fare di fronte al grande successo del Forum Sociale Mondiale di Tunisi a marzo.
Nella sponda sud del Mediterraneo non c’è la democrazia che arriva come un fulmine dal cielo, regalo del destino - illusione che ha alimentato i consensi anche di tanti progressisti alle ‘guerre giuste’ dell’occidente contro i dittatori.
C’è un conflitto teso, ci sono attori sociali in carne ed ossa che percorrono - per accumulazione successive di scelte azzeccate e di errori - il lungo e accidentato percorso verso una democrazia vera, quella che, come ci hanno detto i sindacati alla vigilia della rivolta «non vuol dire andare a votare per consegnare tutto il potere a qualcuno, ma è la libertà di auto-organizzarsi per contare in prima persona».
È una lotta che i democratici in Egitto stanno conducendo sostanzialmente soli. L’Unione Europea si dovrebbe vergognare per il sostegno non dato alle forze democratiche, per la real-politik che ha orientato le sue scelte nei due anni post-rivoluzionari in Maghreb e Mashrek - interessata più a rafforzare gli accordi per il libero scambio che le libertà democratiche.
A noi attori sociali in Europa, sempre convinti di aver tanto da insegnare a tutti, converrebbe pensare agli insegnamenti che arrivano dall’Egitto in queste ore e imparare che la democrazia va rispettata se essa rispetta i diritti democratici, economici e sociali.
Altrimenti è dittatura mascherata, e contro le dittature comunque vestite si ha il dovere di combattere.
Raffaella Bolini
ArciReport n.26, 02/07/13