Helmut Kohl disse a suo tempo che la Germania era di fronte a un bivio: o europeizzare se stessa o germanizzare l’Europa. La Merkel ha imbroccato decisamente questa seconda strada e l’accordo sul ‘fiscal compact’ firmato lunedì da 25 su 27 paesi dell’Ue è il coronamento del suo disegno. Il nuovo trattato sposa in pieno la linea del rigore, stabilisce che i deficit strutturali non possono superare la soglia dello 0,5% pena sanzioni automatiche, chiede che il pareggio di bilancio entri in tutte le Costituzioni. La Grecia verrebbe ammutolita, poiché il suo bilancio sarebbe deciso di fatto a Bruxelles. I paesi europei dovrebbero rinunciare alla propria sovranità senza che sia prevista nessuna forma di governance democratica sovrannazionale, restando le decisioni in mano a organi non elettivi e mancando l’unità politica dell’Europa. Il famoso principio liberale “nessuna tassa senza rappresentanza democratica” viene così rovesciato nel suo contrario.
Intanto la crisi non si risolve.
L’ampliamento del fondo salva stati, che la Germania non vuole, non sarebbe comunque sufficiente. Già si profila, dopo quello della Grecia, il default del Portogallo, mentre le stime che ci offre il premio Nobel Paul Krugman indicano un trend italiano peggiore che nella crisi del ’29. Servirebbe cambiare il ruolo della Bce, perché diventi prestatore in ultima istanza aiutando gli stati a combattere la speculazione. Ma il Trattato lo vieta. Gli stati salvano le banche ma non vale il contrario. Ridare la parola ai popoli sul nuovo trattato (come chiede la maggioranza degli irlandesi) è l’unico antidoto al fallimento dell’Europa.